Ma ‘o meglio attore chi è?

Un uomo da bruciare

Regia: Valentino Orsini, Paolo e Vittorio Taviani
Soggetto: Valentino Orsini, Paolo e Vittorio Taviani
Sceneggiatura: Valentino Orsini, Paolo e Vittorio Taviani
Fotografia: Antonio Secchi
Musiche: Gianfranco Intra
Montaggio: Lionello Massobrio
Scenografia: Piero Poletto
Interpreti e personaggi: Gian Maria Volontè (Salvatore), Didi Perego (Barbara), Spiros Focás (Jachino), Turi Ferro (Don Vincenzo), Marina Malfatti (Wilma)
Origine: Italia, 1962
Durata: 92'

 

 

Salvatore, giovane attivista sindacale di ispirazione marxista, torna in Sicilia dopo due anni passati a Roma e si trova di fronte a una realtà ostile. Tenta con alcuni compagni di occupare un fondo incolto, ma la mafia prima lo ostacola e poi cerca di distoglierlo dall'azione ingaggiandolo come capo operaio in una cava. Ma Salvatore non è un uomo che si lasci corrompere, e allora la mafia lo uccide. Primo lungometraggio diretto dai fratelli Taviani (con Valentino Orsini): un'opera che ha il pregio dell'impegno sociale conclamato, forse un po' schematica, ma molto vigorosa. Liberamente ispirato alla figura del sindacalista socialista Salvatore Carnevale che nel 1955, a soli 32 anni, fu ucciso dalla Mafia perché impegnato nella lotta per i diritti dei braccianti agricoli.

Premiato dalla critica a Venezia. 1° ruolo di protagonista per Volonté.

Porte aperte

Regia: Gianni Amelio
Soggetto: Leonardo Sciascia
Sceneggiatura: Gianni Amelio, Vincenzo Cerami, Alessandro Sermoneta
Fotografia: Tonino Nardi
Musiche: Franco Piersanti
Montaggio: Simona Paggi
Scenografia: Franco Velchi
Interpreti e personaggi: Gian Maria Volonté (giudice Vito Di Francesco), Ennio Fantastichini (Tommaso Scalia), Renzo Giovampietro (presidente Sanna), Renato Carpentieri (Consolo), Tuccio Musumeci (avv. Spatafora), Silverio Blasi (procuratore)
Origine: Italia, 1990
Durata: 108'

 

Siamo a Palermo nel 1936, in pieno regime fascista. Il giudice Vito Di Francesco tenta a suo modo di opporsi, con l'aiuto della legge, ad una condanna alla pena capitale di Tommaso Scalìa reo dell'omicidio della moglie, di un collega e del suo ex superiore, l'avvocato Spatafora. Un Volontè magistrale nel calarsi nel personaggio e renderne palpabile la tensione civile e la stanchezza esistenziale, dà l’unica risposta possibile al collega che sollecita il suo parere “ La pena di morte non è affare della giustizia ma della politica”.

Il titolo del film riprende quello del libro, e in una scena del film si comprende chiaramente il significato dell'espressione quando si fa riferimento alla propaganda fascista. Secondo quest'ultima, la pena di morte sarebbe stata un deterrente sufficiente a garantire agli italiani di poter vivere con le "porte aperte" anche di notte.

Ho la presunzione di credere che Sciascia avrebbe molto amato "Porte Aperte" e penso che l'avrebbe amato proprio perchè, insieme a "Cadaveri Eccellenti "di Rosi, è il film che più non si accontenta di Sciascia; è il film che, più degli altri, mette in discussione quello che Sciascia ha scritto.
Qui io credo di aver riportato il discorso di Sciascia alle sue radici più lontane, nel senso che credo -nonostante lavorassi con il mezzo del cinema, che viene considerato da tutti un mezzo più popolare, in senso anche riduttivo rispetto alla letteratura- di aver fatto nel film ancora meno concessioni di Sciascia. Penso che sia un film più duro e più concentrato sul temo di quanto non sia invece la cronaca di Sciascia, che qualche concessione al colore letterario spesso la fa. Io ho poi reso il protagonista giudice molto più ambiguo e meno limpido, meno portatore di verità.
Per esempio, mi sono chiesto che cosa facesse il padre del giudice, che io ho battezzato Di Francesco. Ho cercato dei chiarimenti nel libro, e poi ho capito che doveca trattarsi di un borghese, di una famiglia borghese; sarà stato avvocato pure lui, oppure giudice o comunque impiegato di concetto, quello che vuoi tu. Io, invece, ne ho fatto un panettiere. Questa è stata la prima cosa che ho detto a Cerami, e Cerami era d'accordissimo con me: deve essere qualcuno che per tutta la vita ha lottato per vedere suo figlio diverso da sé, in modo che quando questo figlio mette in discussione non solo il proprio lavoro, ma anche il lavoro di suo padre e di suo nonno e tutta quanta la loro esistenza, la storia assume forza, concretezza.
Nello stesso modo, del cosiddetto contadino Sciascia da un proprietario terriero, un contadino-filosofo, sposato con una francese, avvezzo alle lingue, ai viaggi, agli scambi ecc., mentre io ne ho fatto il figlio di un bracciante che, per ragioni se si vuole romanzesche, avendo il marchese di Salemi, perso al gioco certe proprietà, ha acquistato dal marchese, di cui era mezzadro, il suo palazzo. Il figlio del mezzadro è entrato in una biblioteca, ha visto dei libri, e ha deciso di leggerli.

(Gianni Amelio)
 

Quien sabe?

Regia: Damiano Damiani
Sceneggiatura: Salvatore Laurani, Franco Solinas, Damiano Damiani
Fotografia: Tony Secchi
Musiche: Luis E. Bacalov con la supervisione di Ennio Morricone
Montaggio: Renato Cinquini
Scenografia: Sergio Canevari
Interpreti e personaggi: Gian Maria Volonté (El Chuncho), Lou Castel (Bill Tate), Klaus Kinski (El Santo), Martine Beswick (Adelita), Jaime Fernandéz (generale Elias), Andrea Checchi (don Felipe), Santiago Santos (Guapo), Joaquìn Parra (Picaro), José Manuel Martìn (Raimundo)
Origine: Italia, 1966
Durata: 117'

 

 

 

Durante la rivoluzione messicana, per un compenso di centomila pesos, un giovane americano, Bill Tate, accetta l'incarico di uccidere, per ordine dei governativi, il generale Elias, capo dei ricoluzionari. Per giungere fino alla sua vittima, Tate riesce ad aggregarsi a un gruppo di ex ribelli comandati da El Chuncho, il quale cerca di trarre profitto dalla rivoluzione assaltando i treni militari e le caserme per procurarsi delle armi da vendere a Elias. Bill ed El Chuncho, dopo varie peripezie, giungono al rifugio del generale rivoluzionario; qui El Chuncho è riconosciuto responsabile della carneficina dell'intera popolazione del villaggio di San Miguel.

Quien sabe? fu un successo in patria e fuori, in Spagna uscì con il titolo Yo soy la revolucìon! Ha le sue carte migliori negli attori, nella rievocazione ambientale, nel ritmo e soprattutto nella sceneggiatura di Franco Solinas. Più barricadero di uno sciopero dei metalmeccanici è un film, che come molti spaghetti-western, racconta a sua modo la lotta di classe più di tante opere impegnate e realistiche.

Indimenticabile la smisurata interpretazione di Volontè, inquietante "brutto sporco e cattivo" antieroe rivoluzionario. L'attore, nonostante le riprese burrascose, amò il film e lo girò con scrupolo. Lo dimostra il fatto che non si rifiutò di doppiarlo come di solito faceva per prendere le distanze da un film.

Sbatti il mostro in prima pagina

Regia: Marco Bellocchio
Soggetto e Sceneggiatura: Marco Bellocchio tratto liberamente da un copione di Sergio Donati
Collaborazione alla sceneggiatura: Goffredo Fofi
Fotografia: Luigi Kuweiller, Erico Menczer
Costumi: Franco Carretti
Musiche: Nicola Piovani
Montaggio: Ruggero Mastroianni
Scenografia: Dante Ferretti
Interpreti e personaggi: Gian Maria Volontè (Bizanti), Laura Betti (prof. Zigaina), Carla Tatò (moglie di Bizanti), Jacques Herlin (Lauri), John Steiner (Ing. Montelli), Michel Bardinet (giornalista)  
Origine: Italia/Francia, 1972
Durata: 82'

 

Anni Settanta. In un campo della periferia milanese viene ritrovato il cadavere straziato di Maria Grazia, quindicenne figlia di un noto professore. Il capo redattore di un noto quotidiano milanese dà incarico di seguire il caso a Roveda, un giornalista alle prime armi, affiancato dallo scafato Lauri. Poi inizia delle indagini per conto suo. Avvicina così la professoressa Zigai, amante di un esponente della sinistra extraparlamentare, in possesso del diario di Maria Grazia ...

Il film di Bellocchio tocca un tema molto attuale: il giornalismo disonesto e politicamente interessato. Niente di più moderno. Il redattore di un giornale conservatore, omonimo del vero "Il Giornale" nato due anni dopo, alla vigilia delle elezioni, sfrutta l'omicidio di una sedicenne cercando di incolpare con titoli eclatanti il principale sospettato, un "compagno". Non è lui il colpevole? Chi se ne frega! L'importante è cavalcare l'onda del malcontento popolare per indirizzare il voto nella giusta direzione, vale a dire quella delineata dall'editore.