Schermi Rock

Schermi Rock

Il rock è la musica della ribellione, dell'emancipazione, del non voler crescere mai per non correre il rischio di diventare come i propri genitori.
Quello tra cinema e rock è stato un amore a prima vista. Fin dalla sua nascita ufficiale il rock’n’roll è stato adottato da Hollywood, che ne ha portato sul grande schermo i protagonisti, le storie, i cliché e soprattutto la ventata di ribellione che esso portava con sé. Il colpo di fulmine si è trasformato in un sodalizio che dura da più di 50 anni, nel corso dei quali il cinema ha plasmato l’immaginario e la cultura rock e li ha rivenduti a un pubblico ansioso di celebrare se stesso e i propri miti.

My my, hey hey
Rock and roll is here to stay
It's better to burn out
Than to fade away
My my, hey hey.

Hey hey, my my
Rock and roll can never die
There's more to the picture
Than meets the eye.
Hey hey, my my.


Neil Young & Crazy Horse - Rust never sleeps - MY MY, HEY HEY (OUT OF THE BLUE) 1979

Quadrophenia

Titolo originale: Quadrophenia
Regia: Franc Roddam
Soggetto: Alan Flechter, Chris Stramp, Pete Townshend
Sceneggiatura: Franc Roddam, Dave Humphries, Martin Stellman
Fotografia: Brian Tufano
Musiche: The Who, artisti vari
Montaggio:     Sean Barton, Mike Taylor
Produzione: Roy Baird e Bill Curbishley per The Who a Polytel
Interpreti e personaggi: Phil Daniels (James Michael 'Jimmy' Cooper), Leslie Aash (Steph), Philip Davis (Chalky), Mark Wingett (Dave), Kate Williams (mamma di Jimmy), Sting (Ace)
Origine: Gran Bretagna, 1979
Durata: 115'

 

 

Londra 1964, due giovani bande rivali, i Mods (dall'inglese Modernists, giovani ben vestiti che guidano scooter italiani come Lambretta e Vespa) ed i Rockers (seguaci del rock'n'roll americano anni '50 con grosse moto e giubbotti in pelle) sono in perenne lotta tra loro.
Per Jimmy ed i suoi compagni d'avventura, con i giacconi parka, l'acol, le pillole "blu" e gli immancabili scooter, essere un mod è uno stile di vita, una ragione di riscatto sociale.

Tre giorni di festa, in inglese "Bank Holiday", sono il pretesto per portare all'apice la rivalità fra le due bande, che culmina con gli scontri a Brighton, cittadina della costa orientale britannica, dove orde di Mods e Rockers si affrontano in una vera e propria battaglia: il film rievoca, così un episodio realmente accaduto e conosciuto come "la battaglia di Brighton" avvenuta nel maggio del 1964.
Jimmy è arrestato, in seguito ai disordini, insieme all'idolo dei Mods "Asso" (Ace Face, interpretato da Sting), ma non è il solo guaio: i genitori lo cacciano di casa, la ragazza gli volta le spalle, la ditta lo licenzia, gli amici scompaiono ed in più Jimmy fa un'amara scoperta ...

Il film, ispirato all'omonima opera rock stritta da Pete Townshend degli Who nel 1973, cattura l'atmosfera della cultura giovanile dell'Inghilterra degli anni '60 ed è allo stesso tempo un film sui temi senza tempo della ribellione e del conformismo, sulla strada che ciascuno di noi deve intraprendere per trovare la propria identità.

The Rocky Horror Picture Show

Titolo originale: The Rocky Horror Picture Show
Regia: Jim Sharman                                                                                       Soggetto: Richard O'Brien dal musical The Rocky Horror Show
Sceneggiatura: Richard O'Brien, Jim Sharman
Fotografia: Peter Suschitzky
Musiche: Richard O'Brien
Montaggio: Graeme Clifford
Scenografia: Terry Ackland-Snow
Produttore: Adler White
Interpreti e personaggi:
Tim Curry (Dr. Frank-N-Furter), Susan Sarandon (Janet Weiss), Barry Bostwick (Brad Majors), Richard O'Brien (Riff Raff), Patricia Quinn (Magenta), Nell Campbell (Columbia), Jonathan Adams (Dr. Everett Von Scott), Peter Hinwood (Rocky Horror), Meat Loaf (Eddie), Charles Gray (il criminologo), Jeremy Newson (Ralph Hapschatt), Hilary Labow (Betty Munroe)
Origine: Gran Bretagna, 1975
Durata: 100'

 

Nel 1973 uno sconosciuto attore teatrale inglese di nome Richard O’Brien, appassionato di cinema fantascientifico e horror e di rock ‘n’ roll, scrive il copione per un musical teatrale intitolato “Rocky Horror Show”. Assieme all’amico e regista Jim Sharman propone il testo alla Royal Court Theater; la compagnia accetta, O’Brien si ritaglia per sé il ruolo di Riff Raff e il musical va in scena. Il successo è talmente grande che si pensa subito a una versione cinematografica. Ci sarebbero pure ingenti capitali americani in ballo, ma a patto di sostituire gli attori teatrali con famose star della musica (Mick Jagger è il primo ad essersi proposto per il ruolo di Frank-N-Furter).
L’idea viene respinta da regista e autore; il compromesso a cui si arriva parla di meno soldi a disposizione ma completa libertà artistica. Il cast rimane quindi lo stesso visto a teatro; nei ruoli principali gli unici ritocchi riguardano due giovani attori americani (Susan Sarandon e Barry Bostwick) nei panni di Brad e Janet, e la memorabile faccia di tonno Peter Hinwood nei panni di Rocky. Una curiosità: Hinwood non sapeva minimamente cantare, ed è stato quindi doppiato nei pochi segmenti canori di cui è protagonista.

Il film esce nel 1975, e dire che è un flop disastroso è un gentile eufemismo. Esce mestamente dalle programmazioni delle sale di prima visione, per entrare trionfalmente in quelle di seconda. Si verificò infatti uno strano fenomeno. Nelle sale dove la pellicola veniva proiettata c'erano solo poche decine di spettatori ... ma erano gli stessi della sera prima, e di quella precedente, e della precedente ancora ... Così i distributori della 20th Century Fox capirono che la chiave del successo del Rocky Horror andava cercata fra gli spettatori delle proiezioni di mezzanotte che erano, notoriamente, sempre gli stessi.
L'anno dopo il Rocky iniziò la sua carriera di film "Cult" notturno a New York, soprattutto il venerdì ed il sabato notte.
Ancora oggi dopo 35 anni, in tutto il mondo, il film è proiettato in alcune sale cinematografiche (in Italia al cinema
Mexico di Milano) dove schiere di affezionati si danno appuntamento per un vero e proprio happening.

Film fuori da ogni schema, a tratti delirante e smaccatamente kitsch con numerosi riferimenti alla cultura pop, si vedono quadri famosi, il salvagente del Titanic, l'antenna della R.K.O., la Creazione di Michelangelo sul fondo della piscina, il David di Michelangelo, la Gioconda ... il tutto mescolato con il glam rock, l'horror, il b-movie.

Rivoluzionario per l'epoca con l'esplicita trattazione di tematiche sessuali ancora oggi conserva elementi di trasgressività non comuni. I ruoli eterosessuali, bisessuali ed il travestitismo vengono esibiti in un'allegoria pronta ad attingere da ogni situazione per irridere o dimostrare quanto siano effimeri i ruoli imposti dalla "normalità".

The Commitments

Titolo originale: The Commitments
Regia: Alan Parker
Soggetto: Roddy Doyle
Sceneggiatura: Dick Clement, Jan La Frenais
Fotografia: Gale Tattersall
Musiche: Paul Bushnell, Mark Roswell (originali di Wilson Pickett)
Montaggio: Gerry Hamblig
Produzione:
Interpreti e personaggi: Robert Arkins (Jimmy Rabbitte), Michael Aherne (Steven Clifford - piano),  Angeline Ball (Imelda Quirke - cantante), Maria Doyle Kennedy (Natalie Murphy - cantante), Dave Finnegan (Mickah Wallace - batteria), Bronagh Gallagher (Bernie McGloughlin - cantante), Félim Gormley (Dean Fay - sassofono), Glen Hansard (Outspan Foster - chitarra), Dick Massey (Billy Mooney - batteria), Kenneth McCluskey (Derek Scully - basso), Johnny Murphy (Joey 'Labbra' Fagan - tromba), Andrew Strong (Deco Cuffe - cantante)
Origine: Irlanda, 1991
Durata: 118'

Dal romanzo omonimo (1988) di Roddy Doyle. Negli anni '60 un giovane proletario irlandese mette assieme un gruppo di musicisti soul ("The Commitments", ossia le promesse) che nella Dublino degli U2 e di Sinead O'Connor cercano di uscire dal ghetto.
L’idea è di Jimmy Rabbitte, aspirante manager più che convinto di voler fondare una vera band musicale. Comincia così, con un’inserzione sul giornale, la ricerca dei componenti del gruppo. Con Dean, Fay, Outspan, Steven Clifford, Deco il ciccione, Billy il batterista, Joey “The lips”, e Natalie, Imelda e Bernie ai cori, nascono così i «The Commitments». E sarà un successo, inaspettato quanto fulmineo. Ma ben presto le rivalità reciproche non mancheranno, come in ogni band che si rispetti, e l’inizio della fine eccola giungere inesorabile sui sogni di gloria di un pugno di giovani irlandesi.

Gli Irlandesi sono i più negri d'Europa, i Dublinesi sono i più negri di Irlanda e noi di periferia siamo i più negri di Dublino, quindi ripetete con me ad alta voce: "Sono un negro e me ne vanto!" 

Control

Titolo originale: Control
Regia: Anton Corbijn
Soggetto: tratto dal libro "Touching From A Distance" di Deborah Curtis
Sceneggiatura: Matt Greenhalgh, Deborah Curtis
Fotografia: Martin Ruhe
Musiche: Joy Division, New Order
Montaggio: Andrew Hulme
Produzione: Wilson Tony, Deborah Curtis
Interpreti e personaggi: Sam Riley (Ian Curtis), Samantha Morton (Deborah Curtis), Alexandra Maria Lara (Annik Honoré), Craig Parkinson (Tony Wilson), Joe Anderson (Peter Hook), Toby Kebbell (Rob Gretton), James Pearson (Bernard Sumner), Harry Treadway (Stephen Morris), Andrew Sheridan (Terry Mason)
Origine: UK/USA/Australia/Giappone, 2007
Durata: 122'

 

Biopic atipico su Ian (Kelvin) Curtis, ragazzo di Macclesfield (quartiere proletario di Manchester) e leader della band post-punk dei Joy Division. Il 18 maggio del 1980, all'età di 23 anni, Ian si toglie la vita. Due giorni dopo i Joy Division sarebbero partiti per un tour americano che anticipava l'uscita del secondo album del gruppo, Closer, sulla cui copertina è raffigurata una delle statue del cimitero monumentale di Staglieno (Genova).

Il film, ispirato a Touching From A Distance (scritto da Deborah Curtis moglie di Ian), racconta la storia di un ragazzo che aspira a qualcosa di molto di più che vivere nella sua cittadina natale. Desideroso di emulare i suoi idoli musicali, come David Bowie e Iggy Pop, entra a far parte di un gruppo e sogna di diventare un musicista a tutti gli effetti ma nel giro di poco tempo, le paure e le emozioni che nutrono la sua musica sembrano consumarlo lentamente. Sposatosi giovanissimo e con una figlia, trascura i suoi doveri di marito e padre per inseguire un nuovo amore e per soddisfare le aspettative sempre crescenti della sua band. La tensione e la fatica minano la sua salute e con l’epilessia che va ad aggiungersi ai suoi sensi di colpa e alla sua depressione, la disperazione si impadronisce di lui. Cedendo al peso delle responsabilità, Ian si lascia consumare dalla sua anima inquieta e torturata.

Significativo è infatti anche il titolo della pellicola, che prende spunto da una sua celebre canzone, “She’s lost control”,
in cui Ian rende omaggio ad una ragazza morta in seguito ad un attacco epilettico, ma che in realtà riflette proprio le ansie
e le paure del cantautore stesso: quel senso di impotenza e di frustrazione nei confronti della sua vita, che, per via della
sua sensibilità e della sua malattia, sentiva sfuggirgli di mano e che non riusciva più a gestire, a partire dal suo stesso corpo.

 Girato dal fotografo olandese Anton Corbijn in bianco e nero "per rappresentare le   atmosfere dei Joy Division e lo spirito dell’epoca". Anton Corbijnaveva immortalato il gruppo sin dalle prime foto, inclusa la famosa immagine di spalle nella Tube Station mentre Curtis guarda di sfuggita verso l’obiettivo. “I Joy Division furono una tra le ragioni principali per cui decisi di venir via dal mio paese e trasferirmi a Londra. Il New Musical Express era una Bibbia e le interviste di Paul Morley alla band hanno costituito una grande fonte di ispirazione per chi, come me, aveva poco più di vent'anni». Corbijn si trasferisce così dall’Olanda a Londra alla fine degli anni ’70, dove frequenta la scena post-punk, cominciando una carriera all’NME come fotografo musicale, per poi intraprendere qualche anno dopo anche la strada della regia di videoclip

 

Ian Curtis è interpretato, con incredibile somiglianza mimetica, dal ventisettenne Sam Riley, cantante del gruppo indie 10000 Things, così che nelle sequenze in cui il gruppo suona non si fa uso di playback. Anche con soli due album all'attivo i Joy Division sono una band germinale il cui culto è cresciuto con il passare del tempo.